Il filosofo contemporaneo di cui parlerò in questo articolo è il filosofo del dolore per eccellenza: Arthur Schopenhauer.
Schopenhauer ha una visione tragica e sconsolata della
condizione umana e considera il mondo dominato da una forza irrazionale che è
la volontà. La tesi principale di Schopenhauer è che la realtà sia costituita
da una forza cieca presente ovunque, non riconducibile alla ragione, ossia la
volontà. Egli identifica la realtà con la volontà.
La radice dell’infelicità umana sta nel fatto che la volontà
in sé è infinita, ma si oggettiva in esseri finiti, i quali rappresentano
quindi una forma inadeguata per la realizzazione di quella volontà infinita.
Ma la volontà continua a vivere negli esseri spingendoli ad
una continua affermazione di sé, a una lotta di ciascuno contro tutti, e ogni
atto che l’uomo compie non è altro che l’affermarsi di questa volontà
(uomo:strumento della volontà).
La volontà non può mai soddisfare pienamente se stessa, quindi
la nostra vita è essenzialmente dolore, poiché è mossa da un perenne stato di
insoddisfazione. Quando un desiderio viene soddisfatto, si consegue uno stato
di appagamento e di piacere, che non è altro un momento di breve durata e non
uno stato stabile. Il piacere viene inteso quindi come cessazione del dolore.
Quando un desiderio viene poi appagata termina con esso anche il piacere, e
sorge dunque la noia, che è peggiore del dolore stesso. Schopenhauer afferma
infatti che dei sette giorni della settimana, sei sono colmi di fatica e
sudore, il settimo è noia. Infatti,riprendendo la sua citazione che ho inserito insieme al titolo del mio blog:
La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente
tra il dolore e la noia, passando per l'intervallo fugace, e per di più
illusorio, del piacere e della gioia.
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